La lunga, ma tutt’altro che inutile, discussione che si sviluppata, attraverso diversi media e canali, sugli studenti che si presentano a scuola in t-shirt e le studentesse con i jeans strappati sta per esaurirsi. Vorrei aggiungere qualcosa che, se non m’è sfuggito, non è stato detto. E cioè che a scuola ci dev’essere un rapporto, una sintonia, tra chi insegna e chi apprende, tra chi apprende e le cose che apprende.
Anni fa, quando c’era uno degli ultimi governi di destra, per combattere il menefreghismo degli studenti qualcuno propose che prima delle lezioni, nel cortile della scuola, si procedesse all’alzabandiera, col suono dell’inno nazionale. Si era convinti che in questo modo si caricava negli studenti il senso dell’importanza del luogo e delle cose che in quel luogo si trasmettevano da una generazione all’altra, e l’importanza aveva a che fare con la nazione, con i geni, con le vittorie, con gli eroi. Non ne ero molto convinto, perché l’alzabandiera si fa nelle caserme, davanti ai soldati. Lì sì che la storia della nazione e le vittorie hanno un senso che impregna tutto. Ma gli studenti non sono soldati. Quando un ragazzo diventa soldato, impara che la distinzione è fra soldato e borghese. Ebbene, gli studenti sono borghesi, figli della borghesia, eredi della borghesia. L’eredità consiste nella cultura, la tradizione, l’arte, il pensiero, la ricerca, insomma il passato. Sono valori altissimi.
Il professore che legge e spiega ai ragazzi sulla soglia dei vent’anni Dante o Leopardi non può essere in t-shirt, e i ragazzi che l’ascoltano non possono essere in pantaloni corti o jeans sdruciti. Per la stessa ragione per cui, nel dopoguerra, non era decoroso insegnare in aule sbrecciate dai bombardamenti. L’ambiente trasmette un messaggio. I segni delle schegge cancellavano e sostituivano la spiegazione di Paolo e Francesca o di Spinoza. Anche gli infradito, i pantaloni corti e i jeans sdruciti trasmettono un messaggio, che evoca il consumismo, il ludismo, la spiaggia, il drink, la serata con gli amici, il divertimento, e non ha niente a che fare con la scienza, l’arte, la letteratura.
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Ferdinando Camon
Avvenire, 27 maggio 2018