Quando uno scrittore va nelle scuole medie superiori scopre un problema: i nostri studenti non sanno niente degli scrittori contemporanei. La scoperta la fa adesso Dacia Maraini, che si accorge come gli studenti non conoscano Alberto Moravia. In effetti nelle superiori non si leggono come si dovrebbe autori contemporanei, e questo è un grande male. Non è un male 'letterario', è un male 'culturale'. Se gli studenti sanno poco (ma dire 'poco' è un eufemismo) di Moravia, Bassani, Pasolini, Pratolini, Volponi, Calvino, Silone, Luzi, e non sanno niente di Pontiggia e Tabucchi, vuol dire che non sanno cos’è il comunismo, cos’è il cristianesimo, cos’è il Terzo Mondo, cos’è la fabbrica, la malattia, l’immigrazione. E senza queste conoscenze non si può essere maturati. Io un ragazzo che non sa dire niente sulle differenze tra il cristianesimo di Silone, Pasolini e Luzi, non lo maturerei. E ci metto anche Moravia, così mi aggancio all’autore da cui parte la notizia.
Di Moravia scrivevamo quand’era in vita che avrebbe avuto un capitolo, non un paragrafo, nelle storie letterarie. Purtroppo le storie letterarie non vengono studiate fino ai contemporanei, e così la letteratura, come la storia, resta nelle nostre scuole una statua monca: manca la testa. Qual è il compito della letteratura e della storia nelle scuole superiori? Creare studenti che, sedendosi alla sera ad ascoltare un tg, capiscano quel che dice: se dice 'immigrazione', 'Terzo Mondo', 'razzismo', 'fabbrica', 'rivoluzione', 'cristianesimo', 'comunismo', 'islam', 'diritti umani', 'Onu'... capiscano di cosa si tratta. Gli scrittori del nostro Novecento non hanno capito tutto. A volte hanno frainteso. Ma hanno 'sentito', hanno individuato i problemi. Moravia era convinto che il cristianesimo avesse portato la libertà di coscienza, e con ciò avesse esaurito il suo compito e sarebbe morto. Gli sarebbe succeduto il comunismo, che avrebbe portato la libertà economica. Noi, figli di Moravia, avremmo vissuto dopo la fine del cristianesimo e nel pieno avvento del comunismo. Non è andata così. Anzi è andata, e va, in senso contrario: viviamo dopo la morte del comunismo e nel pieno avvento di un nuovo cristianesimo. Leggere Moravia significherebbe impostare una lettura del nostro tempo. E questo la scuola dovrebbe farlo. Esiste per questo.
Il comunismo non rispondeva ai bisogni insopprimibili dell’uomo. E l’uomo non poteva vivere senza risposte a quei bisogni. Quando morì suo fratello, il comunista Pratolini gli dedicò un romanzo che è un capolavoro del Novecento, 'Cronaca famigliare', e nell’ultima riga dice: «Se così è, la tua anima splende nel più alto dei cieli». Capire quella riga vuol dire capire quel secolo. E guidare a capire è il compito della scuola. Sto dicendo che i libri a cui s’agganciano questi problemi dovrebbero essere letti nelle nostre scuole, e cioè dovrebbero essere indicati nel programma ministeriale dell’ultimo anno. Il ragazzo che non ha nel cervello il nome di Primo Levi non ha la spiegazione del lager, cos’era e come funzionava, e perciò non è in grado di capire il vertice maligno del nostro tempo.
Avvenire
Mercoledi, 5 giugno 2019