Ore 23. «Possiamo parlare?»: il messaggio illumina lo schermo del cellulare. E non è l’unica volta che succede. Stojna, Desiree, Giada, Federica, Matilde, Carlotta, Desirée (stavolta con l’accento) - a cui si sono aggiunte da poco Malika e Camilla - sono studentesse in prima linea. All’Istituto “Casali” di Piacenza, 800 iscritti divisi tra gli indirizzi turistico, commerciale e sociosanitario - «unica scuola della provincia», ci tengono a sottolineare - c’è una “task force dell’ascolto” che fa leva sull’educazione tra pari. Il germoglio è una proposta del programma elettorale di una lista per i rappresentanti di istituto per cui correva Stojna Vasileva e intorno alla quale si è costruita una convergenza con i colleghi della lista concorrente. Il punto di partenza, l’osservazione di una realtà non semplice. «L’anno scorso – spiega la studentessa, oggi al quinto anno – c’erano delle prime e delle seconde classi molto “movimentate”: erano continue discussioni e liti, che a volte sfociavano in risse. Vedevamo la necessità di offrire un nuovo canale di ascolto». «Già a scuola c’è uno sportello – aggiunge la compagna di classe Desiree Ciusani – ma per i più piccoli è difficile avvicinarsi ad un adulto, si ha paura di dire qualcosa di sbagliato, di essere giudicati. È più facile che vengano da noi».
Le ragazze si confrontano con Elisabetta Balordi, educatrice della Fondazione La Ricerca Ets (realtà nata nel 1980 da don Giorgio Bosini per affrontare i primi casi di dipendenza, ora impegnata a livello educativo e preventivo a 360 gradi), e con la professoressa Cristiana Donato, docente di psicologia e referente dello sportello d’ascolto per l’Istituto. «Quando sono venute a parlarcene, ci è venuta la pelle d’oca... pensare che delle ragazze, che nell’immaginario comune a quest’età pensano solo a se stesse, si mettessero in gioco per dare tempo ed attenzione agli altri è un segnale importante», sottolinea la docente. «E loro davvero sono in prima linea: ci mettono la faccia con i compagni, il loro servizio è H24. Se un ragazzo si affida a loro, sa che ci sono sempre», osserva Balordi.
La “task force dell’ascolto” si muove tra i corridoi della scuola come sulla pagina social dedicata al progetto. C’è anche chi le contatta attraverso i loro profili privati. Le questioni che affrontano sono le più disparate: attacchi di panico, difficoltà di inserimento, bullismo, problemi in famiglia. Qualcuna si definisce «una porta». Un’altra «un ponte». Fuor di metafora, sono una presenza vicina, che accoglie e prova a mediare, per il bene di tutti. Perché la scuola è prima di tutto comunità. «L’altro giorno due ragazze della classe vicina alla nostra si sono messe a litigare. Siamo andate in due – esemplifica Stojna – le abbiamo prese separatamente, abbiamo cercato di capire cos’era successo, abbiamo spiegato che non serve comportarsi così, che è un disagio anche per gli altri». Elisabetta Balordi e la professoressa Donato sono il riferimento fisso per ogni dubbio o per un confronto ogni qual volta le situazioni di cui vengono a conoscenza richiedono aiuti specialistici o interventi mirati. Il loro compito non è sostituirsi agli adulti, ma favorire il dialogo, la relazione, la qualità del benessere a scuola. «Le ho viste in azione e sono davvero brave», riconosce la prof Donato.
«Vogliamo spezzare gli stereotipi per cui chiedere aiuto è sinonimo di debolezza. Non possiamo risolvere i problemi degli altri, ma l’ascolto è sempre possibile», rimarca Carlotta Bonomi, che frequenta il quarto anno e sogna di diventare consulente per il Tribunale. «Stiamo maturando un bagaglio personale importante – riflette –. Quel che stiamo facendo adesso ci aiuta a diventare quel che desideriamo essere in futuro».
L’auspicio è che diventi una buona prassi da replicare in altri contesti scolastici. «Il bisogno c’è. Io vengo da un’altra realtà, dov’ero schiava del voto – confida una di loro –. Qui sono vista come una persona, non come un voto. Se avessi avuto qualcuno con cui parlare...».
Barbara Sartori
Avvenire, 7 gennaio 2025