Smartphone nelle mani dei bambini di 10 anni, ragazzi connessi per oltre 30 ore a settimana, adolescenti in perenne contatto con i coetanei attraverso i social media. Le tecnologie digitali sono una parte integrante (ed esorbitante) della vita quotidiana dei più giovani: ma quali effetti hanno sulla loro salute, sulla capacità di apprendimento e sulle loro relazioni? È questa la domanda a cui prova a risponde il rapporto appena pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Il report – intitolato “How’s Life for Children in the Digital Age?” – misura le abitudini dei ragazzi nei Paesi Ocse e immagina possibili soluzioni per migliorare il rapporto tra nuove generazioni e tecnologia.
I rilievi dell’Ocse partono dai dati, aggregati attraverso gli studi condotti sul tema: quasi la totalità dei quindicenni – esattamente il 96% – ha accesso a un computer o a un tablet e una percentuale ancora maggiore, il 98%, possiede uno smartphone su cui almeno la metà trascorre più di trenta ore settimanali. Già in quarta elementare, tra i nove e i dieci anni, il 70% dei bambini vanta un proprio cellulare, con l’Italia che vede notevoli differenze tra i figli delle classi sociali più alte – che ottengono lo smartphone più tardi – e i ragazzi dei ceti più bassi con accesso precoce agli smartphone.
Questi numeri non sono negativi di per sé: se il 60% dei quindicenni dichiara di passare più di due ore al giorno sui dispositivi per puro svago, i giovanissimi adoperano i dispositivi per uso scolastico ed educativo (accedendo, per esempio, a tutorial ed ebook), per informarsi e naturalmente per socializzare. Inoltre, circa sette quindicenni su dieci creano e modificano contenuti digitali, un comportamento che riguarda soprattutto i giovani con background migratorio che – forse – approfittano della rete non trovando altrove spazi di espressione.
Purtroppo, però, spesso l’uso dei dispositivi da parte dei giovani diventa problematico. Uno dei dati più allarmanti messi in luce dal report è che oltre il 10% degli adolescenti tra gli 11 e i 15 anni presenta comportamenti problematici nell’uso dei social – un dato in crescita rispetto al 2017 – e ad essere colpite sono soprattutto le ragazze e i minori di origini stranieri. Il 17% dei quindicenni ammette di sentirsi nervoso quando non ha accesso ai propri dispositivi e quasi un terzo dichiara di passare almeno tre ore al giorno sulle piattaforme sociali. L’uso deviante di Internet – sostengono gli studi raccolti dall’Ocse – aumenta il rischio di sviluppare ansia e solitudine, peggiora la qualità del sonno e i risultati scolastici, diminuisce il tempo dedicato alle interazioni faccia a faccia e all’attività fisica.
Un tempo eccessivo trascorso davanti allo schermo comporta anche un rischio per la sicurezza online: le violazioni della privacy riguardano quattro adolescenti su dieci ma solo metà dei quindicenni si attrezza per contrastarle; il 42% dei quindicenni ha ricevuto messaggi offensivi in rete e più del 10% dei bambini tra gli 11 e i 15 anni ha subito attacchi di cyberbullismo; mentre contenuti inappropriati sono finiti sotto gli occhi di un terzo dei ragazzi che ne sono rimasti turbati. I più colpiti sono i ragazzi provenienti da famiglie svantaggiate: usando meno le tecnologie dei loro coetanei di ceto più elevato, hanno minori competenze digitali e diventano più vulnerabili sia al bullismo in rete sia alla dipendenza dai dispositivi. Anche le differenze di genere sono significative: le ragazze usano più i social media e perciò subiscono di più la pressione psicologica legata al confronto sulle piattaforme; i ragazzi invece cadono più facilmente nella rete della disinformazione e rischiano di più la dipendenza da videogiochi.
Per migliorare la situazione, oltre a programmi specifici nelle scuole e formazione per gli insegnanti e genitori, l’Ocse auspica la raccolta di dati più solidi e comparabili per monitorare nel tempo il legame tra uso digitale e benessere dei giovani. Alle istitutzioni suggerisce di sviluppare politiche che partano dall’ascolto e dal vissuto dei bambini; mentre alle piattaforme chiede una normativa più dura e filtri, controlli e strumenti utili per segnalare e bloccare i contenuti dannosi per i ragazzi.
Ilaria Beretta
Avvenire, 16 maggio 2025