UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Mille studenti dentro, cento fuori». La “lezione” del Volta

Una mattinata nello storico liceo scientifico milanese
19 Gennaio 2022

Il foglio Excel diviso per colori (uno diverso per settimana) e in colonne: nome e cognome, data del tampone positivo, data di quello negativo, segnalazione ad Ats. Un grafico con la curva dei contagi nella scuola, che – guarda un po’ – ricalca esattamente le proiezioni statistiche di questi giorni: picco dei contagi tra il 31 dicembre e il 4 gennaio (quando la scuola era chiusa), poi il crollo verticale. C’è anche un foglietto scritto a mano, da tenere sempre in tasca, con classi e sezioni che si incrociano su una battaglia navale e i casi segnati a crocette. La risposta a Omicron di Domenico Squillace, preside dello storico Liceo scientifico Volta di Milano, si chiama organizzazione. «Questo lavoro mi occupa il 90% della giornata, sì. Eppure è necessario per permettere alla scuola di funzionare» spiega sereno, mentre nell’ufficio è un viavai di studenti e insegnanti sorridenti.

È bella, la scuola in presenza: i ragazzi si muovono composti nei corridoi al suono della campanella, qualcuno appende un cartellone, qualcun altro apre un pc per mostrare le fotografie per una ricerca. Davanti alla presidenza, appeso al muro, quella presenza s’è guadagnata pure un quadro, ha le sembianze d’una ragazza sorridente seduta a un banco: «Quanti studenti sono in Dad? Un centinaio, sui 1.200 iscritti in questa scuola – continua Squillace –. Quasi il 10% e per me è già una vittoria, perché significa che il 90% sta qui dentro». Lavorare per permettere ai ragazzi di “stare dentro”, di esserci, è una vocazione di lungo corso per il preside, diventato famoso per la lettera appassionata scritta ai suoi studenti durante il lockdown in cui chiedeva loro di non smarrire l’umanità. «Allora colleghi e conoscenti mi scrissero per farmi i complimenti, per ringraziarmi di un gesto quasi eroico ai loro occhi. Oggi gli stessi colleghi, insieme a tantissime persone che non conosco, mi insultano sui social accusandomi di essere un traditore e un pazzo. Ho guadagnato anche io degli haters...».

La “colpa” di Squillace? Non aver firmato quell’appello lanciato al governo da 2.400 sui colleghi per il ritorno immediato alla Dad, «che dal punto di vista organizzativo è senz’altro comodissima – continua –. Si arriva a scuola al mattino, si chiacchiera coi collaboratori presenti, si controlla che tutto proceda per il meglio. E poi si torna a casa». Ma la scuola chiede altro: «I ragazzi ce lo chiedono, pieni di rabbia e di delusione, privati della cosa più naturale del mondo: quella di stare insieme, quella di abbracciarsi, quella di crescere nelle esperienze che solo fuori da casa si possono fare». Il pensiero vola alla storia lontana e recente: «Milano ricorda i suoi piccoli studenti morti a Gorla sotto i bombardamenti. Se sono morti a scuola, significa che la scuola era aperta in guerra, era aperta sotto i bombardamenti. Ed è stata della scuola la prima tenda piantata insieme a quella dei soccorsi quando l’Italia è stata scossa dai terremoti». Perché senza scuola non si può stare, e non si può stare più.

Squillace l’ondata di Omicron l’ha vista arrivare ai primi di dicembre «perché ormai – ci scherza su – sono diventato anche scienziato». I primi weekend sulla neve, il ponte di Sant’Ambrogio, la Fiera dell’Artigianato: «Come se non li conoscessi, i miei ragazzi. Al 19 di dicembre abbiamo registrato la prima impennata di casi positivi». Risultato: il preside prende la decisione di chiedere alle famiglie e agli insegnanti di comunicare i casi di positività anche durante la pausa natalizia, per capire come si muove la curva e a cosa prepararsi al rientro. «La collaborazione dei genitori in questo senso è stata encomiabile». Così è nato il “Bollettino” del Volta, che Squillace gestisce agilmente seduto alla sua scrivania: la colonna dei positivi, le eventuali chiusure, le agognate riaperture. «Certo, queste regole sono una gabbia soffocante. Bisognerebbe al più presto semplificare il tutto. E abolire la Ddi, la didattica integrata, per cui uno studente o due sono a casa e gli altri in presenza: del tutto inutile, meglio la malattia. Si leggano un bel libro, si riposino e tornino in presenza più carichi di prima».

Viviana Daloiso

Avvenire, 19 gennaio 2022