UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Nessun problema con le altre fedi»

Parla Massimo Nunzio Barrella, preside del Liceo Parini di Milano
11 Settembre 2021

Nella dolcezza dello stare assieme va cercata la verità: la frase di Alberto Magno che il preside del Liceo classico Parini di Milano, Massimo Nunzio Barrella, ha scelto come motto, è al tempo stesso un riassunto della sua esperienza nel mondo della scuola e una risposta alle polemiche sul crocifisso in aula, che il professore non esita a definire come «una battaglia ideologica e sterile» perché in realtà nel «quotidiano stare insieme» il problema non c’è.

Preside, la Cassazione dice che il crocifisso non discrimina nessuno. È d’accordo?

Sì, perché ritengo che il crocifisso sia innanzitutto un simbolo che rappresenta la nostra civiltà e che va al di là dell’ambito confessionale: si tratta di un simbolo che ha duemila anni, che ha forgiato una società con i suoi valori fondanti di solidarietà e fratellanza e che non dà fastidio a nessuno. Questo non lo dico sulla base di un ragionamento astratto, ma lo affermo sulla scorta della mia esperienza. Prima di approdare al Parini – dove tra l’altro ho trovato un grande crocifisso storico appeso proprio dietro alla scrivania del preside, che nessuno ha mai contestato – ho diretto per sei anni l’Istituto comprensivo Luigi Cadorna, a Milano in via Dolci, frequentato da allievi di 35 nazionalità diverse con una molteplicità di fedi religiose. Qui non c’è mai stato un caso di protesta, né da parte delle famiglie islamiche né da parte di quelle che si dichiaravano atee o laiche: nessuno ha mai indicato il crocifisso come un’imposizione o una pressione indebita sulle coscienze.

Sull’esposizione la Cassazione di fatto demanda alla scelta della singola scuola: è la soluzione giusta?

Poi approfondiremo il testo della sentenza ma di certo demandare alle singole comunità scolastiche questa decisione può essere rischioso. Può aprire delle fratture inutili all’interno della comunità stessa. C’è il rischio che poi non ci sia più nessun limite: in questo modo si potrebbe arrivare allora a esporre non solo simboli di fede minoritarie ma anche, per fare un esempio estremo, i simboli delle sette.

E quindi come si può definire il limite?

A mio avviso, dobbiamo solo tenere conto ragionevolmente del dato di realtà: l’Italia e l’Europa hanno una storia che non si può rinnegare. E questo non toglie spazio alle altre fedi religiose, anzi. Al Cadorna abbiamo organizzato giornate dedicate alle diverse tradizioni e fedi, a Natale i ragazzi islamici aiutavano a fare il presepe e le loro famiglie mi facevano gli auguri, come io li facevo loro per il Ramadan. Si tratta di riconoscere come procede la storia: duemila anni di cristianesimo non possiamo certo cancellarli. Solo se sappiamo da dove veniamo, possiamo andare incontro all’altro.

La Cassazione dice anche no all’imposizione.

È giusto, va valorizzato il dialogo. Io penso che si possa lasciare spazio a tutti senza rinunciare alla propria identità e autocensurarsi. E non è nella 'dialettica' astratta che si arriva al vero incontro: guardando alla mia esperienza posso dire che l’incontro si realizza nei fatti, in iniziative concrete in cui si fa qualcosa assieme.

Avvenire, 10 settembre 2021