UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Abbiamo ripreso a sognare»

I 53 studenti arrivati in Italia grazie al corridoio universitario
18 Marzo 2021

Maryana ha 27 anni e fa un master in architettura al Politecnico di Milano. Viene da Aleppo ed è in Italia da un anno, ospite di una famiglia. Charbel, invece, è arrivato più di tre anni fa da Homs, a 19 anni, pronto a iniziare gli studi universitari in Scienze biologiche e abita in un appartamento messo a disposizione da una parrocchia di Biella. Poi ci sono Nawar, che fa Medicina e arriva da Homs, Rose, che fa Farmacia e proviene dalla zona di Daraa, dove è iniziata una guerra in corso ormai da dieci anni. Sono 53 i giovani arrivati in Italia dal 2017, grazie a un corridoio umanitario universitario nato dall’amicizia tra il rettore dell’Università Cattolica di Milano, Franco Anelli, e i gesuiti siriani.

Oggi hanno aperto loro le porte altri atenei, a Milano l’Università Statale e il Politecnico, la Cattolica di Piacenza, la Statale di Brescia, l’Università del Piemonte Orientale a Novara e Vercelli, quella di Genova e di Cagliari. Ai giovani siriani sottratti alla guerra garantiscono borse di studio e, in molti casi, l’alloggio nei collegi universitari. Alle loro spalle è cresciuta una rete di sostegno partita da Milano, fatta di privati, docenti degli atenei coinvolti e famiglie; di documenti, visti e aiuti economici si occupa una associazione ecumenica di diritto svizzero, Csco (Chemin de Solidarité avec les Chrétiens d’Orient) con sede a Ginevra.

E così il sogno di futuro può riprendere forma. «Dieci anni fa avevo dodici anni – racconta Charbel – e come tutti i ragazzi della mia età pensavo a cosa fare da grande; poi è arrivata la guerra e la mia scuola è stata chiusa; ho dovuto spostarmi in una zona più tranquilla del Paese ma non avendo i documenti scolastici necessari non potevo fare gli esami e questo mi deprimeva molto. Nello zaino, insieme ai libri tenevo sempre il pigiama e qualche altro oggetto personale, perché spesso non potevo rientrare a casa e dormivo da qualche amico. Ho smesso di sognare il mio futuro e ho pensato solo a sopravvivere».

L’arrivo in Italia, con il primo gruppo di studenti del corridoio universitario, ha significato riprendere in mano la propria vita. «A quel punto però non sapevo più chi ero: quello che avevo passato mi aveva segnato nel profondo, e ho iniziato a fare scelte sbagliate; stavo male, non uscivo di casa, non avevo amici. Avevo cominciato l’università ma non riuscivo a studiare e ho lasciato perdere». C’è voluto un serio percorso terapeutico per far rifiorire Charbel, che oggi pensa di finire la triennale in Scienze biologiche per poi darsi alla psicologia «per riuscire ad aiutare gli altri».

Per Maryana la speranza è quella di diventare un bravo architetto: «Studiare all’estero, conseguire un master e magari un PhD in un’università prestigiosa come il Politecnico per me è una grande opportunità. Spero di tornare in Siria per ricostruire il mio Paese. Ma la situazione è molto difficile: in gran parte del territorio non c’è più la guerra delle armi ma c’è una povertà estrema. Tutto è un problema, mancano l’elettricità, il gas, internet; qualsiasi cosa per la mia famiglia è difficile da trovare o costa troppo. Non so se e quando mi sarà possibile rientrare a casa».

Maria Teresa Antognazza

Avvenire, 16 marzo 2021