UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Imparare facendo»: dai Centri salesiani la “ricetta” anti-Neet

A Milano un convegno del Cnos-Fap. "Occorre un cambiamento di paradigma culturale, pedagogico e organizzativo"
15 Ottobre 2017

Con il 20 per cento dei giovani tra i 15 e i 29 anni intrappolati nella condizione di Neet (cioè di non-studenti e non-lavoratori), l’Italia guarda alla formazione professionale come a una delle possibili vie d’uscita da un labirinto in cui ha perso già troppo capitale umano. Una fetta importante di popolazione scoraggiata e che guarda al futuro senza speranza. Proprio a questi sfiduciati dalla vita, guarda con più attenzione il sistema salesiano della Formazione professionale che, con il proprio Centro nazionale Cnos-Fap, ha fatto il punto, ieri a Milano, della sperimentazione del sistema duale. Percorsi in cui i giovani alternano la presenza al Centro di formazione professionale con il lavoro in azienda, conseguendo alla fine un titolo di studio.

«Il nostro carisma è aiutare i ragazzi a costruire la propria autonomia personale, entrando da protagonisti nel mondo del lavoro», ha ricordato don Enrico Peretti, direttore del Cnos-Fap. Un compito ancor più necessario alla luce dello «spreco» di tante energie giovanili, come ha denunciato il demografo dell’Università Cattolica, Alessandro Rosina, coordinatore del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo. «Se le nuove generazioni – ha ricordato – sono i mattoni del futuro, allora l’Italia ha almeno tre problemi: ha meno mattoni di altri Paesi (rispetto alla Francia abbiamo 6,5 milioni di under 30 in meno), ne spreca di più (20% di Neet rispetto a una media europea del 10%) e ne regala tanti all’estero, con il primato di espatri».

Per aiutare i giovani a «non perdersi in questo labirinto» per Rosina è necessario rimettere al centro la «transizione scuola-lavoro», passaggio fondamentale per la «transizione alla vita adulta». «La scuola ha il compito di irrobustire le competenze – ha sottolineato Rosina – e in questo lavoro la formazione professionale si è dimostrata efficace, con ricadute positive per il singolo e il territorio aperto alle sfide globali». Che, ha ricordato suor Alessandra Smerilli, salesiana, economista e docente alla Pontificia Facoltà Auxilium, sono principalmente due: l’automazione e la digitalizzazione del lavoro. «In un futuro ormai prossimo – ha ricordato la religiosa – il 10% dei lavori sarà automatizzato e il 35% sarà trasformato. La Formazione professionale deve attivarsi per far fronte a queste grandi sfide, insegnando anche a fare gli antichi lavori in modo nuovo».

Anche attraverso un «cambiamento di paradigma culturale, pedagogico e organizzativo», ha sottolineato Arduino Salatin dell’Invalsi, per offrire risposte adeguate alle richieste del mercato. Perché, ha ricordato Salatin, se su 340mila studenti della Formazione professionale, 100mila seguono corsi di ristorazione e 35mila di operatori del benessere, succede poi che le aziende non riescano a trovare le figure professionali che cercano. «Nei prossimi 5 anni – ha ricordato Ermanno Rondi, responsabile dell’alternanza scuola-lavoro di Confindustria – le aziende avranno bisogno di 94mila addetti del settore meccanico, 49mila dell’alimentare, 47mila del tessile, 5mila del chimico e 77mila dell’Ict. Ma non riusciranno a trovarli perché non abbiamo un numero sufficiente di ragazzi in formazione per queste figure professionali ». Una sfida in più per i salesiani.

Paolo Ferrario

Avvenire, 14 ottobre 2017